Knowledge Management: Errori da Evitare

Al giorno d’oggi la conoscenza è l’asset più valorizzato nelle aziende. Fin da quando Peter Drucker ha coniato l’espressione di “lavoratori della conoscenza” o “knowledge workers” per indicare il profilo professionale della maggioranza degli impiegati odierni, un incontro tra il settore della ricerca e quello della consulenza ha permesso a questo fenomeno di emergere con tutta la sua importanza.

Un primo chiarimento concettuale si rende necessario. La conoscenza non equivale al concetto di informazione aggregata. La raccolta delle informazioni è condizione necessaria ma non sufficiente nell’accrescimento della conoscenza in un’organizzazione. Un’azienda può processare quantità rilevanti di dati che riguardano i suoi clienti grazie ai programmi di CRM (Customer relationship Management), tuttavia se quei dati non vengono processati adeguatamente e non sono finalizzati alla presa di decisioni (decision making). Il CRM si rivelerà come uno spreco di risorse.
In effetti, un efficace processo di knowledge management richiede che i processi operativi rilevanti siano inseriti dentro alla cultura aziendale.
Un buon esempio di knowledge management efficace lo si può ricavare dalle imprese famigliari di successo: in questo caso, la raccolta, il trasferimento e l’uso delle informazioni importanti è stabile e produce i risultati desiderati fintanto che i componenti della famiglia rimangono legati tra di loro.
Questo è, assieme ad altri, un punto di riflessione che offre spunti utili anche per le grandi aziende.

Una seconda precisazione sul settore del knowledge management è pertinente. I sistemi che processano le informazioni provenienti da fonti molteplici (come CRM e framework di gestione della supply-chain) sono diventati parte integrante della attività di gestione e si sono ampliati incredibilmente negli ultimi decenni, tanto da essere diventati una presenza centrale nella formazione aziendale, ad esempio nei programmi di MBA.

Il volume effettivo delle informazioni disponibili è enorme ed è cresciuto in modo esponenziale, dando origine a nuovi fenomeni come i Big Data. Sono in molti a sostenere come siamo agli albori dell’era dell’informazione, che porterà all’avvento del cosiddetto Internet of Things.

In ogni caso, il knowledge management va ben oltre l’accumulo dei dati ed è intimamente connesso all’esercizio della leadership. La creazione di conoscenza organizzativa originale è un processo intrinseco alla cultura delle aziende, e coinvolge l’Amministratore Delegato (CEO) e tutto il CDA di un’azienda.

Un modo per comprendere ancora meglio cosa sia il knowledge management e i suoi usi è quello di presentare alcune false credenze sull’argomento spesso prese per vere. Questi errori sono:

1) L’enfatizzazione dell’idea che le organizzazioni posseggano la conoscenza, e non le persone che via appartengano.
Gli sviluppi delle scienze sociali ci hanno aiutato a capire meglio la natura delle organizzazioni, la cui personificazione ci permette di parlare di resilienza e di indipendenza sostanziale dai vari managers, di responsabilità d’impresa, come se le aziende fossero dotate di un’anima.
Spesso pensiamo che le informazioni possedute dalle aziende possano essere codificate e standardizzate per tutti i membri di un’azienda. Nonostante ciò sia plausibile in astratto, non dimentichiamoci che la conoscenza è generata e applicata dalle persone. In effetti se un intero team commerciale lasciasse un’azienda non è affatto scontato che il CRM che vi permane possa da solo essere sufficiente per trattenere i clienti.

2) Il miglior modo per capitalizzare la conoscenza è coltivare la segretezza.
Anche se può sembrare controintuitivo, un’eccessiva segretezza è un’opzione poco affidabile se si vogliono tutelare le innovazioni. Risulta più utile sfruttare l’impatto sul mercato dato dal fatto di presentarsi come dei pionieri. Inoltre, il mantenimento dei segreti è molto arduo al giorno d’oggi, quando le reti Intranet e i social networks sono così interconnessi da rendere le notizie più recenti virtualmente disponibili ovunque in real time.

3) I canali per la comunicazione interna ed esterna sono diversi.
Al giorno d’oggi è difficile, quando non proprio sconveniente, separare distintamente la comunicazione interna da quella esterna. Un approccio migliore può risultare nella scelta di una comunicazione virale targetizzata ai differenti gruppi d’interesse, ai quali le informazioni e le conoscenze trasmesse possono variare nei contenuti e nell’estensione.

4) Le decisioni fondate si basano su una completa conoscenza e su un perfetto livello informativo.
Anche se un processo di knowledge management appropriato contribuisce a migliorare la presa di decisioni valide a fondate, sappiamo tutti che raramente, o pressoché mai, abbiamo la completa certezza di avere tutti i dati utili prima di decidere. Paradossalmente, una delle sfide per gli insegnati delle business schools, in un mondo nel quale la conoscenza cresce più veloce che mai, è quella di preparare dei leaders capaci di gestire le situazioni cariche di incertezze ad ambiguità.

5) Innovazione e nuove conoscenze sono generate nei reparti di Ricerca e Sviluppo.
Nuove idee, prodotti o servizi possono essere creati da differenti reparti all’interno delle compagnie, contando tutti i livelli.
L’esperienza dimostra come dei gruppi di lavoro impiegati efficacemente nella forza vendita e attenti ai feedback dei consumatori, siano uno delle risorse chiave per l’innovazione.

6) Il knowledge management richiede sofisticati e costosi sistemi di IT.
Ancora una volta è utile citare le imprese famigliari, nelle quali la conoscenza è condivisa efficacemente per il business, senza la necessità di massicci investimenti in tecnologia fine a se stessa. I sistemi tecnologici non risolvono da soli problemi gestionali o di processo. I managers dovrebbero avere consapevolezza dello scopo e degli usi delle applicazioni IT, mettendo in conto i vantaggi e i punti deboli, senza lasciare che il team IT sia lasciato solo nel prendere decisioni.

7) Un processo di knowledge management ottimale richiede la nomina del Chief Knowledge Officer (CKO).
La nomina di un CKO può essere comprensibile quando le organizzazioni sono negli stadi emergenti per quanto riguarda la codifica e la distribuzione dell’informazione e della conoscenza. In ogni caso, in organizzazioni nelle quali conti davvero la conoscenza, quest’ultima è generata e fluisce liberamente, ma in maniera coordinata tra le varie divisioni ed unità. Ancora una volta l’utilizzo di IT, social networks e communities spingeranno la “knowledge culture” a percorrere strade inaspettate.

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Fonte: Santiago Iniguez, https://www.linkedin.com/pulse/20140922085352-557690-fallacies-about-knowledge-management

Foto: http://www.torange.us/Objects/books/free-time-for-reading-books-34932.html Licenza Creative Commons Attribution 4.0 International License (CC-BY-40)

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